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2017/07/02

Che fine ha fatto Amelia Earhart?



Ormai quasi nessuno la ricorda più, ma la storia dell’aviatrice americana Amelia Earhart tenne le prime pagine dei giornali per mesi, se non per anni. E ciclicamente la storia della sua misteriosa scomparsa torna alla ribalta, con nuovi ritrovamenti o ipotesi. La giovane aviatrice solitaria ha colpito profondamente l’immaginario collettivo mondiale: sia per il periodo, si usciva dalla Grande Depressione e lei dava una speranza anche alle donne, abbattendo le barriere di genere, sia per il suo aspetto: bella di una bellezza nordica, alta, flessuosa, sensuale come solo certe donne mascoline sanno essere, con quell’aria di americana di campagna (era del Kansas), fintamente spettinata, con gli occhi azzurri anglo-sassoni. 

Le foto che ci rimangono la ritraggono quasi sempre in tuta da volo: in piedi, nella carlinga di un aereo, col giubbotto di pelle degli aviatori americani che avremmo imparato a conoscere durante la guerra mondiale, gli occhialoni; altre ce la mostrano mentre indossa una tuta da palombaro per le sue escursioni in mare, molte con i fiori al ritorno da qualcuna delle sue imprese, e un paio con Italo Balbo, trasvolatore italiano che la ricevette insieme con Benito Mussolini a Roma. Amelia Earhart si consegnò all’immortalità sparendo letteralmente il 2 luglio 1937 insieme con suo aereo e col suo navigatore Fred Noonan, anch’egli scomparso, in un’area remota del Pacifico, vicino a un’isola dove sarebbe dovuta atterrare ma dove non arrivò mai, l’isola Howland. 

Cosa sia successo non lo sapremo mai, fatto sta che l’intrepida aviatrice partì da Lae, in Nuova Guinea, nel tentativo di circumnavigare il globo sulla linea dell’Equatore col suo Lokheed L-10 Electra, diretta appunto a Howland, una striscia di terra lunga due chilometri e larga 500 metri. Nei pressi c’era la Itasca, una nave della Guardia costiera americana che le avrebbe dovuto indicare la rotta e assisterla. Alle 7.42 di quel giorno di 80 anni fa, la Earhart trasmise alla nave questo messaggio: “Dovremmo essere sopra di voi, ma non riusciamo a vedervi ma il carburante si sta esaurendo. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a 1.000 piedi”. Si capì che c’erano difficoltà di comunicazione: la nave trasmise segnali Morse, fece fumo con le caldaie per farsi vedere, ma a quanto pare l’aereo non riusciva a trovare l’isola che, essendo piatta, non si distingueva dall’oceano. 

L’ultima comunicazione conosciuta di Amelia fu delle 8.43 di quella mattina: “Siamo sulla linea 157 337. Ripeteremo questo messaggio. Ripeteremo questo messaggio a 6210 kHz. Attendete”.

Amelia Earhart fu cercata inutilmente per decenni, ma nessuno la rivide mai più, né lei né Noonan. I segnali radio, già deboli e disturbati, sembra si protassero per qualche giorno, segno secondo alcuni che l’aereo era atterrato da qualche parte, altrimenti la radio avrebbe smesso di funzionare se si fosse inabissato. In seguito si disse che c’erano stati segnali, comunicazioni, ma non lo si poté mai appurare con certezza. 

Pare che l’Electra sia atterrato su un’isola deserta, l’isola di Gardner, secondo la migliore tradizione dell’avvenuta hollywoodiana, e che Noonan rimase gravemente ferito mentre Amelia sarebbe sopravvissuta per qualche tempo morendo poi di stenti, ma nessuno ritrovò mai né lei né l’aereo, anche se di tanto in tanto “prove” saltano fuori. L’ultima appena un anno fa, con il ritrovamento di un co0smetico usato dall’aviatrice e di pezzi di un velivolo, ma chissà. 

Fatto sta che la Earhart in quel momento era famosissima, e che il presidente Roosevelt, appresa la vicenda, autorizzò ricerche dispendiosissime, con l’impiego di 9 navi e 66 aerei, che però giunsero sul luogo indicato solo dopo cinque giorni, non trovando assolutamente nulla e nessuno. In quel periodo poi gli Stati Uniti dovevano dimostrare la loro efficienza e potenza, soprattutto sul Pacifico, che era conteso loro dall’impero giapponese, cone risulterà chiaro pochi anni dopo. 

E a questo attrito è legata anche una delle più affascinanti ipotesi sulla sorte di Amelia e del suo navigatore; si disse e scrisse che era stata presa prigioniera dai giapponesi che pensavano fossero spie, e che fossero stati tenuti prigionieri sull’isola di Guam; addirittura c’è chi giura di aver visto Amelia e di averle parlato in qualche campo di prigionia. E una donna, trenta anni dopo, disse persino di aver assistito alla fucilazione della Earhart. Ipotesi infondata, perché, se fosse stato vero, nel 1945 gli americani lo avrebbero saputo e diffuso. 

E anche perché all’epoca alle ricerche, che proseguirono poi ufficiosamente per anni – e ancora proseguono – parteciparono anche due navi giapponesi. Qualcuno azzardò anche che si trattava di una montatura pubblicitaria e che lei fosse tornata negli Usa sotto falso nome. Amelia Earhart stava per compiere quarant’anni, li avrebbe compiuti pochi giorni dopo la sua sparizione. Ci fu addirittura chi, trent’anni dopo, ripercorse fedelmente il volo della Earhart, ma il mistero non si è mai chiarito. 

Si disse che l’aereo a Lae non era stato rifornito del tutto, che Amelia e Noonan avessero sbagliato a calcolare la rotta, e le conclusioni più recenti affermano che probabilmente l’Electra finì semplicemente il carburante sull’oceano. Nel 1940 un inglese, un pilota, disse di aver trovato uno scheletro sull’isola di Nikumaroro, che poi inviò alle isole Figi, dove poi però andò smarrito. Si fece in tempo però a stabilire che poteva appartenere a una donna. Nel 2007 sull’isola furono trovati manufatti di origine incerta, un osso di un dito, e altri reperti, ma nulla che fornisse una prova chiara e definitiva. 

Così il mistero rimane. 

Su Amelia Earhart sono stati scritti libri, effettuate inchieste e documentari, realizzati film, e in tutta l’America esistono statue a lei dedicate e busti e oggetti vari; c’è persino una medaglia dedicatale dallo Smitsonian Institute. Ma il suo rimarrà uno dei grandi misteri insoluti della storia; ci piace rivederla su un’isola deserta, su una spiaggia e con la tuta di volo, che scruta l’oceano e aspetta.

2013/01/30

Gioventù bruciata?


Fabrizio Corona e non solo. 
Non prendetemi troppo sul serio in questa mia ennesima fatica letteraria, perchè serio non sarò. Un Corona in carcere fa notizia solo per quello che s’è lasciato alle spalle in tempi nemmeno tanto recenti piuttosto di quello che rappresenta oggi. Volevo invece fare un parallelo, il titolo ricorda una certa gioventù bruciata che ci riporta ai primi anni dopo la grande guerra. Un famoso film, un allora quasi sconosciuto attore diventato in seguito famoso per questa pellicola, un’altrettanta misteriosa morte in un incidente stradale dai contorni sfumati, un mistero che si ripete per gli altri protagonisti morti tutti in circostanze violente o sospette tanto da far pensare che il film potesse essere maledetto. Insomma ci sono tutti i numeri per farne una bella storia. Siccome sono curioso e leggo molto, ho scoperto delle similitudini fra la vita del protagonista attuale e quella di quello precedente. 

Così nella storia ci metto pure Flavio Briatore che tutti si ricorderanno chi è, magari per altri meriti e situazioni, per la moglie carina e un figlio dal nome eccentrico, comunque sia, i più non sanno che anche lui da giovane ha vissuto alla Corona, o alla James Dean o forse entrambi. Mr. Billionaire infatti nasce povero, come molti self made man del resto, ma possiede tanta ambizione, vuole arrivare dove altri non sono arrivati partendo dal suo livello.

Mettetevi comodi e leggiamola insieme, poi se non vi piace sapete dove trovarmi.

Dei tre personaggi di questa storia trasversale, l’unico che sicuramente nasce povero è Flavio Briatore, padre e madre infatti sono due maestri di scuola elementare e sappiamo come in Italia vengono trattati gli insegnanti. Onesti e dignitosi, ricchi solo nello spirito. Flavio però è ambizioso e vuole crescere e migliorare la propria condizione sociale già tracciata. Si diploma geometra con voti piuttosto bassi e comincia a frequentare ambienti e personaggi di dubbia fama e correttezza. Non si lascia irretire più di tanto, da quella piccola deliquenza resta ai margini, prende quello che basta per far carriera. Quindi lavora come istruttore di sci e gestore di ristoranti. Quando ne apre uno proprio lo chiama con il suo stesso soprannome, Tribüla, nome che deriva dalla innata capacità di superare gli ostacoli per ottenere ciò che vuole. Non durò molto nemmeno il ristorante, per non fallire fu costretto a chiudere.

Dopo aver fatto il piazzista di polizze assicurative a Saluzzo e dintorni, il nostro Briatore esordisce nel mondo dell'imprenditoria a Cuneo, collaborando con un finanziere locale e costruttore edile, Attilio Dutto, che aveva rilevato la Paramatti vernici, ex azienda di Michele Sindona. Il 21 marzo del 1979, Attilio Dutto viene assassinato a Cuneo con una bomba collegata all'accensione della sua auto. La verità su quel botto del 1979 non si è mai saputa, ma si dice che Dutto avesse pestato i piedi in Costa Azzurra a qualcuno di importante. Da questo momento, però, comincia l'escalation di Briatore.

Dalla base piemontese si trasferisce a Milano dove conosce Achille Caproni quello della Caproni Aeroplani, diventando consulente della CGI sua holding. La Paramatti nel frattempo acquistata da Caproni su consiglio del Briatore, fallisce clamorosamente insieme a diverse società del gruppo lasciando un buco di 14 miliardi di vecchie lire. Briatore fu in seguito accusato di essere a capo di quello che i giudici chiamarono “il gruppo di Milano”, un’organizzazione che aveva il delicato compito di agganciare clienti di fascia alta e di truffarli. L'attività si interruppe con una retata, una serie di arresti, un'inchiesta giudiziaria ed un paio di processi che coinvolsero tra gli altri Emilio Fede, assolto per insufficienza di prove.

A cadere nella rete furono alcuni nomi importanti. Briatore fu condannato in primo grado ad 1 anno e 6 mesi a Bergamo e a 3 anni a Milano ma non fece un solo giorno di carcere poiché si rifugiò per tempo a Saint Thomas, nelle Isole Vergini, per poi tornare in Italia dopo un'amnistia.

La vita di James Dean non fu altrettanto roccambolesca, la morte inaspettata si. In un tardo pomeriggio del 30 settembre 1955 sulla strada per Salinas in California, la Porsche Spider condotta dal giovane attore non poté evitare la collisione con un altro veicolo che, forse per una distrazione dell'autista, aveva invaso la corsia. L'impatto fu devastante: per James Dean non ci fu quasi più nulla da fare e l’auto era ridotta in pezzi. Alcune ore più tardi, tra lo sgomento generale, cominciò a diffondersi la notizia che il mito era morto. Aveva solo 24 anni.

James Dean era diventato un’icona di una certa gioventù suo malgrado, tanto da far nascere il mito che la cultura giovanile ha interiorizzato, ormai quasi inconsapevolmente, e la cui leggenda continua a perpetuarsi da più generazioni, senza peraltro veder diminuire il suo sottile fascino e la sua attualità. Non è facile trovare un altro personaggio che, al suo pari, ha influenzato tanto, e così a lungo, i comportamenti, il modo di vestire, le mitologie metropolitane dei giovani; al punto da potersi affermare che in ogni giovane c'è riposto qualcosa che appartiene a James Dean, prototipo di ogni teenager.

Una «Gioventù bruciata» che si spense quel 30 settembre. Così come si spegneva nel film. Storie di ribelli. James Dean, ribelle dalla sua vita faticosa. Dalla morte prematura della madre. Dal difficile rapporto con il padre. Ribelle senza causa. Come il titolo originale di quella pellicola di Nicholas Ray che ha fatto il giro del mondo. E ha lanciato quel giovane volto nell'immaginario collettivo. Senza confini. Proiettandolo sui miliardi di manifesti appese nelle camerette di adolescenti sognatrici. Un mito nato su un uomo che era un crocevia di opposti, apparentemente inconciliabili. Intimorito e arrogante. Scapestrato e riservato. Spaesato e audace. Come i bolidi che amava. Come le macchine che guidava.

Come la fiducia nel prossimo. Si dice che un attimo prima di quello schianto mortale, mentre il conducente dell'altra auto si apprestava a girare a sinistra tagliandogli la strada, Dean avesse confidato al meccanico seduto a fianco: «Ci vedrà... Quel ragazzo dovrà pur fermarsi». In "Gioventù bruciata", diventato presto un vero cult-movie, fanno la loro piena comparsa anche quelle tematiche che caratterialmente accompagnano, sin dalla più giovane età, la breve e turbolenta vita di James Dean: la competitività, la continua messa alla prova di se stessi, la fretta di vivere, la sfida alla morte. Come è noto, infatti, l'attore fu nel corso della propria vita un "ribelle" non certo meno che negli schermi cinematografici, conducendo una vita intensa, frenetica e spesso sregolata. E Corona?

Fabrizio Corona nasce in una famiglia di giornalisti, figlio di Vittorio e nipote di Puccio Corona. Il bisnonno era il compositore siciliano Gaetano Emanuel Calì. Origini non modeste come gli altri due protagonisti di questa storia. Fabrizio Corona però è assunto dalle cronache solo per le sue esperienze negative piuttosto che per quello che di buono ha realizzato. È lui il vero rappresentante di quella Gioventù Bruciata, un arrogante uomo d’affari, un mito al contrario, temuto e rispettato, scapestrato ma riservato, audace e contorto nelle proprie certezze, un uomo, un ragazzo, con tanta ambizione, e determinazione che l’hanno portato a amare donne desiderate da molti italiani e a gettarle via con esasperante stupidità dopo averle utilizzate e spremute per il proprio piacere. 

Perchè?

C’è di tutto nel passato di Corona, molto di quello desiderabile, molto più di quello che un coetaneo con pari ambizioni e capacità possa pensare di raggiungere, eppure a lui non è mai sembrato sufficiente, ha sempre rischiato per avere di più. Televisione, editoria, cinema, calcio sono mete ambite dai nostri giovani. Chi non vorrebbe entrare a far parte di un cast televisivo, iniziare una carriera nel piccolo schermo, chi, compreso il sottoscritto, non ha mai desiderato diventare uno scrittore famoso, scalare le classiche dei libri più venduti di sempre e le occasioni nel cinema, dalla parte dei protagonisti e nel calcio, non quello giocato ma pur sempre uno che conta, eppure...

Eppure Corona si è perso per strada tutto questo, rincorrendo soldi facili, belle donne, emozioni forti, avventure al limite della decenza e legalità e anche oltre. Estorsione, banconote false, bancarotta fraudolenta, agressione a pubblico ufficiale, corruzione, diffamazione a mezzo stampa, ricettazione, evasione fiscale, infrazioni gravi del codice della strada sono le sue performances più eclatanti, un’enormità verrebbe da pensare considerando che il Corona è nato solo 39 anni fa.

Giovane non lo è più, intendiamoci, vecchio non ancora, a 40 anni la vita può ancora sorriderci ma lui ha speso molto della propria credibilità quando era ancora poco più che ventenne. Una vita scapestrata, diversa da quella raccontata dalla madre, che pur come mamma di tale figliuolo non può che parlarne bene. Eppure nessuno come lui ha mai dimostrato tanta cattiveria, tanta rabbia, tanta presunzione e arroganza nei confronti di chi, e nonostante tutto, lo osannava e ama ancora. Gioventù bruciata? È sicuramente il caso di Fabrizio Corona, che ha bruciato tutto quello che aveva come eredità familiare, fatta non di danaro ma di rispetto, partecipazione, riconoscenza. Ha bruciato tutto quello di suo e probabilmente anche quello che la famiglia era riuscita a creare nei decenni di rapporto col pubblico, buttato tutto all’aria.

Se n’è parlato molto sui giornali di gossip, su quelli scandalistici, sui quotidiani e settimanali, nei talk show pomeridiani e serali, anche nei telegiornali. Se n’è parlato spesso come un mito da non prendere a esempio, di un bulletto di periferia troppo cresciuto che non si rende conto egli anni che passano.

Sicuramente Corona rappresenta in solido quella gioventù bruciata di mezzo secolo prima, ma non per questo può essere giustificato nei propri comportamenti. James Dean e Flavio Briatore ebbero una adoloscenza tribulata, dissapori e incomprensioni a livello familiare, qualche grosso dispiacere. Corona no, ha vissuto nell’agiatezza, in una famiglia stimata e considerata a tutti i livelli sociali per quello che aveva donato alla gente, per l’acutezza delle azioni e il rispetto per gli altri. 

Fabrizio Corona, è stato uno dei personaggi italiani più chiacchierato degli ultimi anni, criticato da molti per il suo carattere forte e poco incline al rispetto della legge, forse a torto ammirato e venerato da altri per la sua grande determinazione. Quello che mette Fabrizio nei guai è il carattere ribelle, da vero duro: attacca i magistrati dell’indagine, si fa cogliere al volante senza patente, viene trovato in possesso di banconote false. Insomma, se i guai non vanno da Corona, è Corona che se li cerca, motivo per cui diventa un pò il capro espiatorio delle indaginiin cui viene coinvolto.

Cosa c’è nel futuro di Corona? Sette anni di carcere quasi otto, condannato in via definitiva per l’estorsione a un calciatore, unico colpevole a causa di un sistema marcio nelle fondamenta che ha identificato lui come il responsabile perfetto, il colpevole da punire duramente, l’esempio da bandire. Sconterà la sua pena in carcere, probabilmente smetteranno di parlare di lui e quando uscirà di prigione, vecchio e incanutito, cambiato interiormente, speriamo non ci faccia più tornare alla memoria quella gioventù bruciata della quale lui è stato solo un cattivo esempio.