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2016/07/15

Come finirà con l'Islam?


Intervista a Giovanni Sartori, fiorentino, 91 anni (quasi 92), considerato fra i massimi esperti di scienza politica a livello internazionale, da anni è attento osservatore dei temi-chiave di oggi: immigrazione, Islam, Europa. Da Il Giornale, 15/7/2016.

Professore su queste parole si gioca il nostro futuro.

«Su queste parole si dicono molte sciocchezze».

Su queste parole, in Francia, intellettuali di sinistra ora cominciano a parlare come la destra. Dicono che il multiculturalismo è fallito, che i flussi migratori dai Paesi musulmani sono insostenibili, che l'Islam non può integrarsi con l'Europa democratica...

«Sono cose che dico da decenni».

Anche lei parla come la destra?

«Non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati».

Quale disastro?

«Illudersi che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica. Su questo equivoco si è scatenata la guerra in cui siamo».

Perché?

«Perché l'Islam che negli ultimi venti-trent'anni si è risvegliato in forma acuta - infiammato, pronto a farsi esplodere e assistito da nuove tecnologie sempre più pericolose - è un Islam incapace di evolversi. È un monoteismo teocratico fermo al nostro Medioevo. Ed è un Islam incompatibile con il monoteismo occidentale. Per molto tempo, dalla battaglia di Vienna in poi, queste due realtà si sono ignorate. Ora si scontrano di nuovo».

Perché non possono convivere?

«Perché le società libere, come l'Occidente, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità popolare. L'Islam invece si fonda sulla sovranità di Allah. E se i musulmani pretendono di applicare tale principio nei Paesi occidentali il conflitto è inevitabile».

Sta dicendo che l'integrazione per l'islamico è impossibile?

«Sto dicendo che dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno di società non-islamiche sia riuscita.
Pensi all'India o all'Indonesia».

Quindi se nei loro Paesi i musulmani vivono sotto la sovranità di Allah va tutto bene, se invece...

«...se invece l'immigrato arriva da noi e continua ad accettare tale principio e a rifiutare i nostri valori etico-politici significa che non potrà mai integrarsi. Infatti in Inghilterra e Francia ci ritroviamo una terza generazione di giovani islamici più fanatici e incattiviti che mai».

Ma il multiculturalismo...

«Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. Ci pensi. I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della sovranità popolare, altrimenti devono andarsene».

Se la sente un benpensante di sinistra le dà dello xenofobo.

«La sinistra è vergognosa. Non ha il coraggio di affrontare il problema. Ha perso la sua ideologia e per fare la sua bella figura progressista si aggrappa alla causa deleteria delle porte aperte a tutti. La solidarietà va bene. Ma non basta».

Cosa serve?

«Regole. L'immigrazione verso l'Europa ha numeri insostenibili. Chi entra, chiunque sia, deve avere un visto, documenti regolari, un'identità certa. I clandestini, come persone che vivono in un Paese illegalmente, devono essere espulsi. E chi rimane non può avere diritto di voto, altrimenti i musulmani fondano un partito politico e con i loro tassi di natalità micidiali fra 30 anni hanno la maggioranza assoluta. E noi ci troviamo a vivere sotto la legge di Allah. Ho vissuto trent'anni negli Usa. Avevo tutti i diritti, non quello di voto. E stavo benissimo».

E gli sbarchi massicci di immigrati sulle nostre coste?

«Ogni emergenza ha diversi stadi di crisi. Ora siamo all'ultimo, lo stadio della guerra - noi siamo gli aggrediti, sia chiaro - e in guerra ci si difende con tutte le armi a disposizione, dai droni ai siluramenti».

Cosa sta dicendo?

«Sto dicendo che nello stadio di guerra non si rispettano le acque territoriali. Si mandano gli aerei verso le coste libiche e si affondano i barconi prima che partano. Ovviamente senza la gente sopra. È l'unico deterrente all'assalto all'Europa. Due-tre affondamenti e rinunceranno. Così se vogliono entrare in Europa saranno costretti a cercare altre vie ordinarie, più controllabili».

Se la sente uno di quegli intellettuali per i quali la colpa è sempre dell'Occidente...

«Intellettuali stupidi e autolesionisti. Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore. Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no. L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è l'industria, ma il mercato, il suq».

Si dice che il contatto tra civiltà diverse sia un arricchimento per entrambe.

«Se c'è rispetto reciproco e la volontà di convivere sì. Altrimenti non è un arricchimento, è una guerra. Guerra dove l'arma più potente è quella demografica, tutta a loro favore».

E l'Europa cosa fa?

«L'Europa non esiste. Non si è mai visto un edificio politico più stupido di questa Europa. È un mostro. Non è neppure in grado di fermare l'immigrazione di persone che lavorano al 10 per cento del costo della manodopera europea, devastando l'economia continentale. Non è questa la mia Europa».

Qual è la sua Europa?

«Un'Europa confederale, composta solo dai primi sei/sette stati membri, il cui presidente dev'essere anche capo della Banca europea così da avere sia il potere politico sia quello economico-finanziario, e una sola Suprema corte come negli Usa. L'Europa di Bruxelles con 28 Paesi e 28 lingue diverse è un'entità morta. Un'Europa che vuole estendersi fino all'Ucraina... Ridicolo. Non sa neanche difenderci dal fanatismo islamico».

Come finirà con l'Islam?

«Quando si arriva all'uomo-bomba, al martire per la fede che si fa esplodere in mezzo ai civili, significa che lo scontro è arrivato all'entità massima».



2016/04/08

CHI FINANZIA IL TERRORISMO?


Pasqua di sangue per i cristiani morti a Lahore, in Pakistan, vittime già dimenticate – insieme a molti musulmani – di una violenza cieca ed assurda. Il moltiplicarsi degli attentati nel mondo e la presenza dell’ISIS in molti paesi pone però anche il problema a livello internazionale su chi e come si finanzia il terrorismo. 

In questo senso se l’Italia è stata per ora immune da attentati di grande visibilità vi sono però indizi dell’esistenza di focolai terroristici in Italia, in particolare a Milano, che dovrebbero far riflettere non solo gli specialisti di finanza nei servizi segreti italiani. 

Come sottolinea da tempo Giuseppe Pennisi in una serie di interventi su “Avvenire”, “Formiche” e “Sussidiario” si sa che l’economia “sommersa” è una delle fonti privilegiate del terrorismo in Europa (e in Italia in particolare, a ragione dell’ entità del sommerso nel Pil). Quando il terrorismo era di matrice Al-Qaeda, si parlò a lungo di un fenomeno poco studiato: la micro-finanza del terrorismo che spesso si annida in una rete articolata e molto diffusa dietro il paravento di fondazioni e associazioni islamiche ufficialmente a scopo caritatevole. 

Ciò non vuol dire che tutte le moschee sono ruscelli che alimentano il fiume del terrorismo, ma che spesso attorno alle moschee più radicali si sviluppano fonti di finanziamento singolarmente forse modeste, ma che rappresentano un sostegno importante per una rete disseminata sul territorio. Le fonti principali erano e sono però ancora i Paesi arabi, “amici” (anche se formalmente alleati con l’Occidente) che supportano queste fondazioni (a volte in quanto integralisti, a volte perché sotto ricatto). In questo senso – sottoliea ancora Pennisi - la riunione annuale della World Islamic Banking Conference (l’ultima si è svolta lo scorso dicembre a Manama, capitale del Bahrain), è una sede importante di raccordo in cui tra una preghiera e l’altra e tra un tè e l’altro, si parla d’affari. 

L’associazione conta ben 32 istituzioni bancarie islamiche e da anni è sede dei più importanti organismi internazionali per lo sviluppo della finanza islamica nel mondo: l’Aaoifi, che promuove standard unici per i principi contabili e di governance per le banche che seguono la sharia; il Lmc che sviluppa un mercato interbancario islamico; l’Iifm dedicato alla integrazione di un mercato di capitali del mondo islamico. Alla riunioni non mancano banchieri e consulenti finanziari occidentali, esclusi però dalle sessioni a porte chiuse dedicate agli “impegni” per le fondazioni “culturali” (e non solo) di proselitismo e di difesa dei valori della sharia.

Già dieci anni fa un documento dell’amministrazione finanziaria degli Stati Uniti sui capitali all’estero della rete terroristica avrebbe documentato che una buona parte dei 3 miliardi di dollari appartenuti al Governo di Saddam Hussein già depositati in banche estere soprattutto in Siria, Libano e Giordania sono finiti non si sa dove e che queste risorse finanziarie erano state accantonate sia per il supporto alla guerriglia in Iraq sia per finanziare il terrorismo. 

Molte cose nel frattempo sono cambiate: il Califfato dispone oggi di riserve petrolifere e di greggio destinato al mercato nero in Occidente e in Estremo Oriente. Quindi è abbastanza autosufficiente per le proprie esigenze “statuali” (chiamiamole così) e per le forze armate. Inoltre, le “cellule” sparse in Europa operano con “terrorismo lowcost”. Si stima che la strumentazione terroristica per gli attentanti a Parigi abbia avuto un costo di 20.000 euro e quella per gli attentati a Bruxelles di 15.000 euro; li si finanzia con la questua nelle moschee (un crowfunding terroristico), con lo spaccio di droga e con il “pizzo” in certi quartieri (come potete immaginare anche a Bruxelles...). 

Un campo relativamente nuovo e di grande interesse è quello dell’analisi economica dell’impiego di kamikaze reclutati tra giovani cresciuti in ambiente occidentale oppure “occidentalizzato” (i palestinesi nati e diventati adulti in Israele) dove giovani musulmani esaltati, cresciuti negli Usa o in Europa oppure nelle aree più occidentalizzate del Medio Oriente, lo compiono non per andare in un Paradiso (in cui spesso non credono affatto), ma per sconfiggere il nemico in una guerra millenaria in cui l’intrusione occidentale avrebbe, agli occhi loro e dei loro maestri, tolto il primato economico, scientifico e culturale dell’Islam. Lo scontro con le libertà, la democrazia e il mercato rende più acuta la decisione di commettere gesti estremi come il suicidio-eccidio. 

Ciò spiega la scelta di terroristi istruiti (oltre che probabilmente laicizzati) per le missioni più importanti. Attenzione: il suicidio-eccidio è contrario al Corano dove si prescrive che l’uomo non deve uccidere “neanche una formica” e la “guerra santa” è consentita unicamente per la riconquista e difesa dei “luoghi sacri”. Il kamikaze o è imbevuto di eresia, ossia di un’interpretazione distorta del Corano, oppure considera il suicidio-eccidio come strumento di una guerra laica tra civiltà necessariamente in forte contrapposizione. Dobbiamo renderci conto che il contenimento del terrorismo è un “dovere pubblico internazionale”, che non può essere fornito da un solo Paese e di cui beneficia tutta la comunità mondiale.

Dopo le risoluzioni Onu anche Siria e Libano hanno dato la loro disponibilità a operare di concerto con il resto del mondo per bloccare i soldi del terrore. Ciò implica vigilare su conti sospetti di “cellule” terroristiche dovunque esse siano ma questo significa anche una necessaria e ben maggiore vigilanza bancaria. 

Si sente spesso questa frase in tempi di lotta al terrorismo:

Anche se non tutti i musulmani sono terroristi, la gran parte dei terroristi sono musulmani.

Sappiate che si tratta di una frase del musulmano saudita Abdel Rahman al Rashed che all’epoca dell'intervista di Oriana Fallaci era direttore della televisione Al Arabiya e futratta da un suo editoriale e riportata nel libro “Oriana Fallaci intervista se stessa – L’apocalisse”.