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2014/03/09

Vajont, una tragedia programmata?

"I dirigenti parlarono di un piano per far crollare una parte del monte Toc, ma sbagliarono nel calcolare la portata dell'onda"

8 ottobre 1963, studio del notaio Isidoro Chiarelli di Longarone, Belluno. Due clienti discutono i dettagli della cessione di alcuni terreni alle pendici di un piccolo monte delle Prealpi, chiamato Toc per la consistenza della sua roccia, franosa, poco compatta. Gli anziani dicono che il nome derivi da “patoc”, che nella parlata locale significa marcio. All’acquirente, l’ingegnere della società idroelettrica Sade, Mario Cavinato, questo dettaglio non importa perché quei terreni sono destinati ad essere allagati esattamente 24 ore dopo. Stando alle ultime rivelazioni, in seguito a un’azione programmata.

A cinquant’anni dalla tragedia del Vajont, la figlia del notaio riapre uno dei capitoli più contrastati della vicenda, il ruolo della società che ha progettato la diga, ovvero la Sade. Come racconta a Il Gazzettino, in quell’ufficio suo padre avrebbe assistito a una conversazione tra due dirigenti dell'azienda, in cui rivelavano un piano per far crollare in modo controllato una frana che minacciava di staccarsi da un fianco del monte: “Facciamolo verso le 9-10 di sera, saranno tutti davanti alla tv, non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la popolazione? Per carità, non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto una simulazione, le onde saranno alte al massimo 30 metri”.

Secondo Francesca Chiarelli, furono queste le parole ascoltate dal padre, cui venne poi imposto di rispettare il segreto professionale se non voleva incorrere in pesanti ripercussioni. Ma lui non tacque. “Per quasi due anni non lavorò più, lo evitavano, ma non smise mai di farsi testimone di quel dialogo. Per questo ebbe molti problemi, pressioni, minacce. Soffriva perché nessuno gli aveva creduto”.

Eppure nel 1968 fu partecipe della fondazione del Sindacato U.S.A.R.C.I. di Belluno fondato e costituito con rogito notarile del 21 settembre 1968 proprio del Notaio Isidoro Chiarelli.... (vedere il sito dell'USARCI per la citazione). Non solo, fin dal 1966 riprese nella sua attivita' di Notaio, infatti fu chiamato alla costituzione della prima associazione delle vittime del Vajont, a Longarone, testimone e notaio dell'atto costitutivo. LINK

Se davvero soffriva per un eccidio che non era stato capace di evitare, parlandone prima, denunciando chi riteneva colpevole, a costo della propria carriera, della vita, per quale motivo poi nel 1966 lo vediamo tornare alla professione proprio a Longarone? 
Dubbi, dubbi, per quale motivo i figli si son decisi a rivelare la storia solo dopo cinquant'anni. 
Stando alla ricostruzione del notaio, scomparso nel 2004, la Sade voleva affrettare i tempi per consegnare alla neonata Enel un’opera senza alcuna ombra che potesse sminuirne il valore. Solo che le onde scatenate dalla frana raggiunsero un'altezza dieci volte superiore alle previsioni, spazzando via un’intera vallata e le sue duemila vite. 

“La sera del disastro programmato - prosegue - mio padre ci fece vestire di tutto punto, pronti a scappare”. Nel clamore dell’anniversario, Francesca ha scelto di farsi carico di questa eredità, “per rendere onore al suo coraggio. E per chiarire che non fu una disgrazia: nostro padre lo chiamava eccidio”.

Facile parlarne quando chi potrebbe accusare non c'e' piu'!

2014/03/05

Sud Africa: consigli di viaggio



E’ noto che il Sud Africa è un paese ad alta criminalità: le statistiche su crimini violenti e reati contro la proprietà (furti e rapine), sono fra le più alte al mondo.
E’ quindi naturale che chi ha intenzione di trascorrere una vacanza ma anche di trasferisi per vivere si ponga questa domanda: quale sarà l’effetto della criminalità sulla mia vita quotidiana? Sappiate che la criminalità violenta è concentrata maggiormente nelle zone urbane economicamente depresse come le township e i quartieri poveri e popolosi, ma furti e rapine a mano armata con o senza violenza possono capitare ovunque. Se Cape Town è ritenuta la meno pericolosa delle grandi città sudafricane, Johannesburg è all’altro estremo, anche se, secondo le statistiche, la criminalità è ora in diminuzione.

La stampa internazionale tende a drammatizzare la situazione a fini sensazionalistici, ma è vero che la disparità di ricchezza all’interno del paese è realtà quotidiana e causa diretta di molti crimini. Non c’è dubbio quindi che se vi recate in South Africa per le vostre vacanze da sogno o decidiate di trasferirvi dovrete abituarvi ad essere vigilanti e prendere alcune precauzioni. 

La criminalità è un problema certo, i potenziali turisti ignorano, come scritto precedentemente, che la maggior parte di essi si verificano nelle townships povere del South Africa, che sono raramente frequentate dai turisti e spesso le poche visite sono guidate e scortate dalla polizia così da annullare o ridurre a un minimo gli incidenti. E' invece vero che i visitatori del Sudafrica affrontano gli stessi rischi di coloro che visitano i Caraibi o raggiungono la vecchia e cara (in tutti i sensi) Europa dove potrebbe essere probabile incontrare malfattori pronti a svuotare le tasche al turista distratto. 

Con le dovute precauzioni, invece un viaggio in South Africa, il più bel paese nell'Africa australe, sarà sicuro, piacevole e anche divertente.

Rapine

C'è un enorme divario tra ricchi e poveri in Sud Africa. Politiche economiche di sfruttamento dei precedenti governi durante l'apartheid hanno portato povertà diffusa, la quale alleva il crimine, e la convivenza dei ricchi e indigenti ha portato ad una ridistribuzione della ricchezza attraverso informale rapine. 
Mentre nessun piano è infallibile, non ci sono tattiche di buon senso per ridurre la probabilità di essere bersagliati. Al solito sarebbe buona regola evitare di indossare gioielli vistosi, tenere la fotocamera fuori vista fino a quando si desidera utilizzarle, e optare per luoghi dove la sorveglianza è continua nell'arco delle 24 ore. I distributori di denaro contante (in prossimità c'è sempre un cartello con su scritto ATM) sono in South Africa un punto caldo per le rapine, così quando è necessario ritirare i soldi, sarebbe meglio cercare un bancomat in un centro molto frequentato della città o all'interno di un centro commerciale. Se possibile, prelevare il denaro durante il giorno, in ultima analisi spesso i grandi hotel hanno un bancomat all'interno della propria struttura proprio per non mettere in pericolo i clienti, approfittatene. 
E ricordatevi di non accettare mai l'aiuto di nessuno quando ritirate  il vostro denaro e buona regola è mettere subito i biglietti nel vostro portafoglio.

Sicurezza sulle strade

Mentre Johannesburg è tristemente nota per il furto d'auto, l'incidenza di questo tipo di crimine è ancora relativamente basso nel resto del Paese. La maggior parte dei turisti che visitano le città maggiormente attive troveranno il traffico troppo caotico, sempre meno di quanto avvenga in Europa o negli USA, ma a livelli mai visti in altri Paesi africani, inoltre le strade mettono soggezione, sia per via del senso di circolazione a sinistra come nel Regno Unito, sia per le regole che spesso non sono le stesse a cui siamo abituati, prendere in considerazione di affittare un'auto è positivo ma pensar bene dove andare, munitevi di mappe, meglio di un GPS e non fidatevi troppo dei passanti, potrebbero darvi, in buonafede, indicazioni fuorvianti.

Pur non essendo il pericolo elevatissimo conviene sempre prendere semplici precauzioni quando si è alla guida come attivare la chiusura centralizzata e non lasciare oggetti in vista sul sedile laterale. La vigilanza va poi raddoppiata quando cala il buio, in particolare se siete appena arrivati in città assicuratevi di conoscere bene il percorso per evitare di smarrirvi in una zona poco raccomandabile. Se avete paura di perdervi o guidare di notte, rimanete in albergo, il pericolo potrebbe essere rappresentato dai taxi, spesso poco affidabili, insomma, considerate che nonostante tutta la modernità da cui siete circondati, vi trovate comunque in Africa, dove tutto è possibile.

Al di fuori di Johannesburg, la minaccia più grande sulle strade è lo stile di guida di certi Sudafricani, spesso sono poco esperti o guidano in modo aggressivo. Se siete poi una di quelle persone che ama litigare quando siete al volante pensateci bene, spesso chi avete di fronte non è assolutamente quello che possiate mai pensare di trovarvi davanti, senza considerare che molto probabilmente è armato e non ha alcun problema a utilizzare l'arma di cui dispone. Per cui guidate sempre tranquillamente, rispettate i limiti di velocità, date strada a chi ve la chiede con insistenza, arrivare vivi un secondo dopo è molto meglio che non arrivare affatto. In caso di incidente e se pensate di aver ragione chiamate la polizia stradale e barricatevi nell'auto fino al loro arrivo, normale misura di prudenza. Ricordatevi anche se si affitta un'auto, che bisogna conoscere le regole della strada.  

Diffidate dai taxi minibus, quei furgoni bianchi sono spesso condotti da autisti neri o di origini indiane e guidano senza licenza e quel che è peggio spesso anche senza patente di guida. Le loro tariffe sono fisse, per questo i conducenti cercano di massimizzare i profitti guidando letteralmente come pazzi, a velocità insostenibili e spesso senza rispettare le regole della strada. Gli incidenti sono all'ordine del giorno con molte vittime innocenti.

Sicurezza delle donne

Avrete sicuramente letto di un alto tasso di aggressioni a sfondo sessuale e di stupri che innalzano i tassi delle statistiche, sappiate che questi non riguardano i turisti (salvo quelli che se li vanno cercare) poichè non rientrano negli obiettivi degli stupratori o aggressori. Come per gli omicidi, la stragrande maggioranza delle violenze verso le donne si verifica nelle township. Nonostante queste premesse le donne che visitano il South Africa dovrebbero essere prudenti come in qualsiasi altro Paese al mondo. I sudafricani che vivono al di fuori delle città tendono ad essere conservatori, sia nella mentalità che nell'abbigliamento. Fuori delle aree urbane, le donne dovrebbero coprirsi per evitare sguardi indesiderati. Molte donne sudafricane viaggiano solo su minibus, treni e nei propri mezzi, ma i visitatori - uomini e donne- saggiamente dovrebbero viaggiare in gruppo.

Malattie

Mentre le zanzare, come nel resto del mondo, mordono durante i mesi estivi, la maggior parte del South Africa è esente da malaria. Se state programmando un viaggio al Kruger National Park o in altri settori selvatici nella parte settentrionale del paese, portare con voi le pillole per prevenire la malaria è una buona idea. Se si decide di non assumere preventivamente le pillole, sarebbe meglio dotarsi di appositi repellenti e coprire le caviglie e i polsi. L'unico altro rischio per la salute è l'HIV, con più di un quarto dei sudafricani infetti. Se avete intenzione di impegnarvi in attività sessuali, proteggetevi adeguatamente.

Escursioni e Water Safety

Come il recente incidente occorso a Michael Schumacher insegna, non occorre andare in South Africa per incorrere in un incidente, anche le montagne di casa nostra riservano pericoli che, spesso, non sappiamo nemmeno possano esistere. La saggezza e la prudenza quando praticate le vostre attività sportive preferite devono accompagnarvi sempre, a maggior ragione se siete lontani dal vostro ambiente preferito. Oltre a essere saggi, i visitatori in South Africa devono anche essere consapevoli dei rischi naturali. La Table Mountain (Montagna della Tavola) a Città del Capo, una delle attrazioni turistiche più popolari in South Africa, detiene più vite del monte Everest, secondo Lonely Planet di Città del Capo. E' raro che passi una settimana senza che si verifichi un grave incidente durante un'escursione per pura fatalità. Non solo, spesso sono i turisti stessi che prendono inutili rischi e il risultato è sempre lo stesso: tornare a casa
in una cassa di zinco. Spesso è solo una questione di abbigliamento appropriato per le escursioni, troppo spesso ci si dimentica di portare un telefono cellulare per chiamare il
personale di soccorso in caso di emergenza. L'acqua lungo la costa è generalmente fredda, solo in estate raggiunge temperature accettabili, il South Africa  è bagnato dall'Atlantico meridionale a ovest e dall'Oceano Indiano sempre meridionale a est, l'Antartide non è lontana, la temperatura dell'acqua risente della vicinanza del Polo Sud, episodi di annegamento e morti da ipotermia sono purtroppo comuni senza dimenticarci degli squali e altre minacce marine che esistono da sempre nei mari tropicali, in questo l'Australia tiene buona compagnia al South Africa. Quando possibile, evitate di nuotare e navigare in aree contrassegnate come pericolose, per la vostra sicurezza.


Trattamento medico

Cape Town, recupero in mare
Gli ospedali privati ​​nei centri urbani del Sud Africa offrono cure mediche di primo livello. Se si stanno visitando aree remote, meglio procurarsi saggiamente una assicurazione di viaggio, che copre generalmente il costo di un trasporto in elicottero, se avete bisogno di essere trasportati in un ospedale attrezzato di solito in una grande città per il trattamento. Chi è alla continua ricerca di emozioni adrenalitiche faccia la massima attenzione: molti piani di assicurazione di viaggio non coprono gli sport d'avventura come la mountain bike, la discesa in corda doppia, il kite surf o anche escursioni fuori dai sentieri noti. Se rinunciate alla vostra assicurazione di viaggio, controllate con il vostro assicuratore usuale per vedere se gli ospedali in South Africa sono coperti dalla vostra assicurazione. Buona norma sarebbe aggiornare i numeri di telefono e i nomi e tenerseli sempre a portata di mano quando siete in viaggio in modo da poter indirizzare il soccorso con precisione.

Vi auguro una magnifica vacanza in South Africa!

2014/02/09

What a dangerous world


Gran parte della popolazione mondiale è abituata a vivere nelle città, circondata da comodità e al sicuro da molte insidie naturali. 
Esistono però luoghi così pericolosi che è difficile credere che qualcuno sia disposto a viverci. Coraggio, intraprendenza e spirito di adattamento, queste sono le capacità necessarie per vivere in questi luoghi: ecco gli otto luoghi più pericolosi dove vivere sulla terra.

Il polo del freddo (Verkhoyansk, Russia)

Nel cuore della Siberia, tra la tundra ghiacciata, Verkhoyansk è la più antica città al di sopra del circolo polare artico. Da oltre tre secoli i Russi hanno colonizzato questo luogo, vivendo in un continuo inverno per oltre nove mesi l’anno.
Verkhoyansk è definita la città più fredda al mondo (il record è di -67 gradi centigradi), senza dimenticare che da settembre a marzo le ore di luce sono meno di cinque al giorno. Oggi questa città attrae molti “turisti estremi”, attratti soprattutto dal freddo indescrivibile di questa città fuori dal comune.

La montagna di fuoco (Mount Merapi, Indonesia)

Questo vulcano, sull’isola di Java, ha eruttato oltre 60 volte negli ultimi cinque secoli, causando migliaia di morti tra le popolazioni locali. Ma questo non ha scoraggiato gli oltre 200.000 abitanti che vivono nei villaggi intorno al vulcano.




La tempesta perfetta (Gonaives, Haiti)

Questa città, che è la più grande di Haiti, si trova nel golfo di Gonave, lungo il percorso naturale che molti cicloni seguono nel Mar dei Caraibi. Gonaives negli ultimi anni è stata flagellata dalle tempeste tropicali, ma nonostante questo continua a essere uno dei centri più vivaci e ferventi dell’isola di Haiti.



Il lago della morte (Lake Kivu, Repubblica Democratica del Congo/Rwanda)

Il Kivu è uno dei più grandi laghi africani, situato lungo i confini del Congo e il Rwanda. Al di sotto della sua superficie, ci sono oltre due trilioni di metri cubi di gas metano e biossido di carbonio. Se rilasciati dalle sue profondità, questi gas potrebbero uccidere oltre due milioni di persone che vivono sulle sponde del lago.


Le isole effimere (Maldive)

Le Maldive sono tra i paradisi tropicali più in pericolo nel mondo: il loro nemico è l’innalzamento dei mari. Le 1190 isole e atolli che compongono le Maldive hanno un’altezza massima di circa due metri sul livello del mare. Negli ultima anni il presidente della Confededazione sta investendo molti dei soldi incassato con il turismo per programmi di rilocazione per le popolazioni locali. Negli ultimi anni infatti oltre il 30% della popolazione ha perso la casa, buona parte a causa dello tsunami del 2004.

La capitale degli uragani (Grand Cayman)

Le Isole Cayman, territorio inglese situato a circa 180 chilometri a sud di Cuba, sono conosciute per le immersioni e per gli alberghi di lusso. La più grande delle tre isole, Grand Cayman è la capitale mondiale degli uragani. Negli ultimi 150 anni quest’isola è stata colpita da oltre 60 tempeste, spesso con risultati catastrofici. L’ultimo, l’uragano Ivan, è stato nel 2004, una tempesta di categoria 5 che ha squassato l’isola per giorni.

Il corridoio dei tornado (Oklahoma City/Tulsa, Oklahoma)

Lungo la statale 44 si trovano le città di Oklahoma e Tusla, due delle città più popolate dello stato di Oklahoma. Ogni primavera l’aria fredda e secca delle Montagne Rocciose scende lungo le pianure e l’aria calda e umida del Golfo del Messico sale verso nord, le due correnti si ritrovano lungo quella che è chiamata la Tornado Alley, il “corridoio dei tornado”, giusto in tempo per la stagione delle grandi trombe d’aria. 
Dal 1890, oltre 120 tornado hanno colpito Oklahoma City e le aree circostanti, uccidendo centinaia di persone e distruggendo migliaia di case.

Il deserto che cammina (Minquin County, Cina)

Un tempo era un’oasi fertile, poi dopo una decade di siccità questa zona è diventata un vero e proprio deserto di sabbia che dal 1950 ha inghiottito oltre 150 chilometri quadrati di terra. Dal 2004 il deserto cresce al ritmo di 10 metri l’anno ma nonostante questo la popolazione continua a lottare con le pessime condizioni climatiche di questi luoghi.

2013/10/03

La Terra dei Fuochi


Se ne parla spesso, sui giornali, alla televisione, nei talk show, su facebook. Tutti o quasi tutti ne conoscono le origini, le motivazioni, sono in grado di additare un colpevole o i colpevoli senza essere non di meno capaci di fermare il fenomeno. Parlarne aiuta a evidenziare il fenomeno ma non lo ferma.

Ieri, oggi anche domani continuano e continueranno a bruciare i rifiuti tossici, inquinanti, gli scarti industriali perché lo Stato non ha potere in una terra dominata dalla criminalità organizzata, dalla camorra, dall’omertà. Dove non arrivano le istituzioni arriva la Camorra. Chi sono, chi rappresentano, come si sconfiggono?
La Camorra siamo noi? Si e forse no, dipende da noi, dal nostro modo di essere, dal rifiuto dell’ingerenza di uno Stato curioso, invadente, dal rifiuto a collaborare con le istituzioni, con le forze dell’ordine, dalla corruzione che in quelle terre vive una vita senza vecchiaia. La Camorra rappresenta un tipo di mentalità, che fa della prepotenza, della sopraffazione e dell'omertà i suoi principali punti di forza. Ma in Campania in quel triangolo della morte che spazia fra la provincia di Napoli e Caserta si muore di tumori provocati dai rifiuti bruciati nelle campagne dalla Camorra. Che poi siano loro stessi o emissari, fiancheggiatori, alleati o semplici operai di questa grande e segreta organizzazione, poco importa. 

La Camorra esiste perché siamo noi che permettiamo loro di sopravvivere, di germogliare, di crescere e nessuno, veramente nessuno ha mai pensato che è arrivato il momento di estirparla percché significherebbe mettere in cella una buona porzione della popolazione del sud Italia.


Allora a che serve parlare della Terra dei Fuochi? Credete che servirà per arrestare il fenomeno? Pensate sia utile per guarire i malati di tumore? Credete che il continuo tam tam dei media possa servire a circoscrivere le cosche e ridurle, annichilirle, annientarle, bruciarle come loro fanno con i rifiuti illegali?

Assolutamente no, non servirebbe a nulla. Per risolvere una volta per tutte il problema è necessario guardare lontano. Quanto lontano? Lontano, forse anche alle origini di questa nazione. Alla gente, ai bisogni, ai desideri e anche ai sogni. L’Italia è l’unica nazione europea che non ha un piano adeguato e unico per il trattamento dei rifiuti, che siano tossici o meno. Ogni regione legifera a modo suo, ogni regione decide come meglio operare e spesso, troppo spesso sbaglia. Non solo.
Anche i cittadini di questo stivale sbagliano, si ostinano a sbagliare sapendo di essere nel torto ma continuano in virtù di logiche che hanno poco di coerenza e molto di clientelismo, di baratti. Barattare la vita? Non a quel punto, barattare una vita da disperati per una parvenza di normalità, l’impressione che tutto vada bene anche quando va male. Una serie di piccoli e grandi privilegi in cambio del silenzio. E quasi nessuno denuncia per paura di ritorsioni, “perché si ha paura che facciano qualcosa” dice un bambino perché gli adulti hanno paura solo a parlarne.

Sono questi i comuni interessati dal fenomeno noto a tutti come "La Terra dei Fuochi" un'area di parecchi km quadrati da Acerra a Mondragone.

Ecco il punto è questo. I cittadini non sono vittime di un sistema che non li protegge, c’è anche quello, lo ammetto, ma non solo.  I cittadini sono gli artefici del loro male, sono loro che hanno lasciato attecchire e svilupparsi la camorra. Il confine tra l'appartenenza a un clan camorristico e il vivere in una mentalità camorristica diffusa, il più delle volte è labile ed etereo e, in alcuni particolari ambienti sociali, una divisione netta tra le due cose potrebbe risultare non facilmente rilevabile. Non denunciare chi brucia i rifiuti nei campi significa essere camorristi. Non additare chi sporca, chi getta sacchetti di rifiuti per le strade, chi non li differenzia, chi non ricicla e la lista sarebbe lunga poiché diventa più facile pensare al proprio orticello invece di dare uno sguardo a quello altrui, non si sa mai cosa si può trovare, significa essere noi stessi camorristi. La Camorra siamo noi che lasciamo che essa esista. L’ex Sindaco di Napoli, Rosa Iervolino un giorno rilasciò una dichiarazione allucinante nella sua chiarezza: 
"La camorra non è vicina al potere, è al potere".

Se fosse possibile....

Eppure, anche se non serve a nulla, anche se per cambiare la mentalità della gente del sud ci vorranno decine di anni, eppure qualcosa fa fatto subito. Va detto, va denunciato, va urlato perché la nostra voce si unisca a quella straziante dei cittadini campani, vittime non soltanto della camorra, ma anche dell’ignoranza, della bieca cecità delle istituzioni e di certi media attenti solo a riportare l’evento eclatante, la notizia, quella che fa vendere giornali e moltiplica all’infinito i click della pubblicità .

Ricordatevi che la Terra dei Fuochi è una vasta area che si estende tra la provincia di Napoli e la provincia di Caserta. È così chiamata per i numerosi incendi che vi si propagano. Gli incendi sono sempre di origine dolosa e vengono appiccati per lo smaltimento illegale di rifiuti di ogni genere, compresi pneumatici, coloranti e plastiche. Le nubi tossiche che si propagano nell’aria e gli elementi nocivi che si infiltrano nel terreno hanno dato vita a un’altissima concentrazione di casi di tumori in quelle aree dimenticate da Dio e dagli uomini di legge.

L'area interessata dal fenomeno
Un fenomeno devastante, raccapriciante che da oltre vent’anni semina morte tra la popolazione, per lo più donne e bambini, e il tasso di mortalità è inevitabilmente destinato a crescere. 
Solo negli ultimi tempi la popolazione ha finalmente alzato la testa e ha cominciato a ribellarsi attuando ogni forma di protesta per porre fino a questo scempio, perché in mezzo a tanto iniquità e tanto orrore, ci sono tante persone, soprattutto giovani, che vivono di onestà e non di malaffare pur vivendo in una terra martoriata dalla malavita. È assai disumano quello che sta succedendo in quella terra dove ormai il fenomeno dello smaltimento illecito è del tutto fuori controllo.
Non mi risulta, infatti, che gli animali pur non avendo la ragione, abbiano mai inventato un sistema per autodistruggersi, e in un caso come questo appare chiaro quanto l’uomo sia di gran lunga più irragionevole delle bestie.

E se qualcuno dovesse chiedervi: "Che cos’è la camorra?" Almeno una volta in un viaggio, in un pellegrinaggio, in un treno o in un aereo, in un'escursione o in un itinerario, e almeno una volta nella vita, a un napoletano capita che gli si avvicini un non napoletano e gli chieda "Ma che cos'è la camorra?" Che rispondereste?

La Camorra non è uno Stato o un Antistato. Non ha un potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Non ha una Costituzione. Non ha una Camera o un Senato. Ha un solo potere: quello economico. Che muove fili e persone, leggi e sicari, soldi e imprenditori. Infine dimenticate di ricordare o rappresentare la Camorra come quel film o come quel libro. La Camorra sono persone in carne ed ossa, certo reincarnabili ma anche distruggibili.
E siccome potrebbe riguardarvi, pensate che la Camorra siate voi quando vi si chiede di rispettare leggi che voi non rispettate. L'unica magra, ma necessaria, consolazione è che essa è, e resterà, per sempre un fatto umano. E come tutto ciò che è umano avrà un inizio ma anche una fine.










2013/05/21

Vietnam


Titolo breve e significativo. Il Vietnam è diventato negli anni una meta ambita per tutti quelli che vogliono trasformare il turismo consumistico in una forma di turismo densa di contenuti, anche storici. Il Vietnam nazione del Sud Est Asiatico strategica area geografica che si posiziona fra l’Australia e il Paese di mezzo altrimenti detto Cina. Certamente è anche lo stesso di certi tragici ricordi di guerre, distruzione e morte, ormai patrimonio di un lontano passato, possibilmente da dimenticare. 

Parliamo dunque di questo Vietnam, quello della gente gentile, sorridente cascasse loro il mondo addosso, sempre disponibile verso lo straniero purché dotato di portafogli sempre pieno di profumati dollari, guardacaso degli euro non sanno che farsene. Per un vietnamita il turista, oltre a essere un portafogli con le gambe, rappresenta un bene da preservare, da coccolare, da salvare. Evidente il riferimento al portafogli ma non solo.

In questa mia ultima fatica voglio parlarvi del viaggiare in Vietnam. Il viaggio in questo lungo e stretto paese è possibile con qualsiasi mezzo ma solo due di questi possono essere considerati con la dovuta importanza in quanto tutti gli altri non rientrano ne nei nostri standard ne nella convenienza a causa delle velocità non certo ottimali, ne delle condizioni di sicurezza senza tralasciare la pulizia.
Restano i mezzi stradali, i cosiddetti van come li chiamano qui a 16, 26 o 50 posti e gli aerei. Diciamo subito che l’aereo riveste una importanza strategica per questo paese, sia per la tempistica veramente ridotta rispetto al mezzo alternativo su strada, sia per la sicurezza. L’aereo va dunque preferito a un trasferimento su strada quando le distanze sono oltre i 250km, ma se il turista vuole “vivere” il viaggio è il torpedone, mi si conceda un termine puro con rimembranze autarchiche, quello che gli permette di vivere al meglio il viaggio di scoperta intima di questo affascinante Paese asiatico. 

Le principali città del Vietnam sono quattro, da nord a sud: Ha Noi, Hai Phong, Da Nang, Ho Chi Minh City, nota in passato come Saigon. A queste si aggiungono altre non meno famose, dotate di un tessuto urbano considerevole eppure meno catalizzanti delle prime quattro. Possiamo quindi aggiungere: Nha Trang, Hué, Vinh, Than Hoa.  Da Nang dista da Ha Noi circa 900 km, l'aereo e' il mezzo piu' adatto, stesso discorso da Saigon a Da Nang, 870 km, anche in questo caso spostarsi in aereo rimane la soluzione piu' facile, ambita.
Hai Phong dista poco meno di 150 km da Ha Noi ma oltre 1500 da Saigon, mentre Nha Trang quasi 500 da Saigon. Inutile fornire altre cifre, Ha Noi e Hai Phong sono a nord, Da Nang e Hue al centro, distanziate da un paio di centinaia di km, tutte le altre si trovano a sud. Impensabile attraversare tutta la nazione in auto, treno o torpedone per raggiungere le vostre mete a meno che non siate propensi al sacrificio o costretti da bagagli particolari.

Chiarito il dettaglio salto a pie' pari al mezzo d'eccellenza in Vietnam: l'aereo.
Va detto che i vietnamiti, parlo di chi tiene i fili del comando, hanno, letteralmente, un sacro terrore dell'aereo. Non intendo dire che non volano, semmai che possa cadere un apparecchio provocando vittime. Molti voli importanti trasportano ogni anno milioni di turisti, quanti ne arrivano principalmente dall'Australia e New Zealand, Stati Uniti e dall'Europa. E meno male direte voi, qualcuno pensa ogni tanto alla sicurezza e non solo ai ricavi. Certo, per questo motivo tempo fa, è capitato a me, l'aereo su cui viaggiavo ebbe un problema, il pilota informò i passeggeri che si tornava all'aeroporto da cui eravamo decollati, poi ripartimmo e ritornammo a terra credo sempre per lo stesso problema. Altro decollo e altro ritorno dopo di che non tentai la sorte per la quarta volta e cambiai aereo. Il motivo era sempre lo stesso: tutelare i passeggeri, anche a scapito delle tempistiche, anche a scapito delle coincidenze. Nel mio caso la metà dei viaggiatori era inviperita, tutti avevano perso le varie coincidenze, tutti auspicavano di venir riprotetti su altre linee ma, si sa, certi voli verso altri continenti si ripetono su base settimanale, essere riprotetti significava doversi sorbire un numero imprecisato di voli di grandi e piccole compagnie non sempre allo stesso livello, un livello accettabile, per sicurezza e affidabilità, un incubo da evitare assolutamente. Attenti dunque alle coincidenze.

Forti di questo sano principio gli aerei della Vietnam Airlines non volano se fuori piove a dirotto, se i nuvoloni scaricano tonnellate di acqua per secondo, abbastanza normale si dirà, succede in ogni altra parte del mondo. Certamente, ma in Vietnam non informano il passaggero, così esso si ritrova in attesa di un volo che doveva partire ma non parte, di un aereo che doveva arrivare ma non arriva e non pensiate che sia un’eccezzione, no, è la regola. In questo ultimo anno ho percorso la tratta Ha Noi / Da Nang con regolarità, quasi tutti i fine settimana li ho trascorsi a Hoi An ridente cittadina situata lungo le rive del fiume Thu Bon, nominata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, meta preferita di milioni di turisti ogni anno. E non solo, quando le esisgenze di lavoro lo richiedevano mi dovevo sorbire il trasferimento obbligatorio da Ha Noi a HCMC (Ho Chi Minh City) e da li a Sydney e poi a Brisbane, e questi aggiungevano patemi e arrabbiature.

In un anno un solo volo è decollato in orario micronometrico, quasi che fosse un orologio svizzero o un bullet train giapponese. Uno sugli oltre trecento voli, una percentuale di probabilità infinitesimale, lascio a voi il calcolo, ci siamo capiti. 

L’ultimo episodio venerdì scorso. Rientravo a Da Nang e da li a Hoi An dove ho casa. Per non avere problemi di imbarco, di liste d’attesa sconosciute dell’ultimo momento, per non essere prevaricato a causa del bagaglio a mano pesante e non sai mai che altro ti aggiungono su, quasi come quando giochi a briscola e ti ritrovi fra capo e colo un carico da undici, ecco che, per non avere tutti questi problemi ho acquistato un biglietto in business class. Non v’allarmate, business class a livello di un volo nostrano con una compagnia low cost, sessanta euro o poco più che in una tratta lunga come la Milano Roma non costa nemmeno come un posto in stiva. 
Arrivo in aeroporto e mi dirigo prontamente al lounge diritto esclusivo di chi possiede tale biglietto da eletti. Attendo le mie brave due ore, perchè la regola dice di arrivare in aeroporto un’ora prima il decollo, il mio autista è stato veloce e mi ha scodellato davanti all’aeroporto un’ora in anticipo, poco male, al lounge le attese son sempre piacevoli. Nel buio, senza finestre, dell’attesa, consumo il tempo fra gustosi manicaretti fruttacei e letture amene sul computer, lavoricchiando un po’, scrivendo il mio libro nel tempo che resta. 

Allo scadere del tempo e giusto dieci minuti prima dell’imbarco mi avvio al gate, scoprendo che il volo ha cambiato location, dal numero 2 al numero 9 che, in un aeroporto come Noi Bai equivale a scendere una scala di 30 scalini, attraversare un sottopassaggio lungo un centinaio di metri, risalire una scala di 30 scalini e ritrovarsi nella seconda fetta di scali nazionali. Una volta arrivato riconosco subito il mio gate a causa della lunga fila di viaggiatori in attesa. Mi avvicino al bancone e scopro che il volo ha subito ritardo, un quarto d’ora. Ok, non sono preoccupato, aspetterò. Passa il tempo, arriva l’orario previsto ma nulla succede, nel frattempo fuori piove a dirotto. Arriva qualche aereo, qualcun altro parte ma tutto tace. Altra lunga attesa e lo schermo cambia l’ora di decollo, questa volto le 19:40, un’ora e quaranta di ritardo. La gente s’inviperisce, una cacofonia di grida, lamenti, incavolature, gente che sbraita, si anima, inveisce e... e loro imperturbabili, sorridono, non si preoccupano o forse lo sono veramente ma non te lo fanno vedere, l’ordine proviene dall’alto. Fuori intanto continua a piovere, il nostro aereo, o almeno quello che pensavamo fosse nostro parte, se ne va, non si sa se pieno di passeggeri o meno, era li davanti al nostro gate, a un certo punto sparisce in silenzio, nessuno se ne accorge se non quando lo schermo cambia ulteriormente l’orario di partenza, alle 20:15, altri 35 minuti inspiegabili visto che nulla all'esterno si è modificato.

In sala imbarchi la tensione è alle stelle, la gente urla, si formano accrocchi di persone che gesticolano, gli addetti alle partenze non sanno più che fare, spiegano, discutono, a volte sorridono e tutti, ma proprio tutti, attendono un ordine che dovrebbe arrivare ma che difetta. E poi l’apoteosi, blackout, tutto buio, salta la luce, si ammutoliscono gli schermi, saltano le luci d’emergenza, siamo al buio nero, buio fuori buio dentro. Le mani corrono veloci ai portafogli, alle tasche a proteggere perché in simili frangenti la prudenza non è mai troppa. Venti minuti di passione e poi torna la luce. Un’altra ora di attesa, alle 21 viene annunciato l’imbarco, decolliamo alle 21:15, tre ore di ritardo e nessuno ha mai capito per quale ragione. 

Questo è il Vietnam, benvenuti nella perla (perennemente in ritardo) d’Oriente, siatene coscenti quando prenoterete la vostra vacanza e le coincidenze mai sotto le tre ore, potreste trovarvi in imbarazzanti situazioni!
Siete avvisati!

2013/01/18

L'Africa dal basso!

L’Africa non è solo un continente, smisurato, unico, ma anche un modo diverso di concepire la vita. In Africa tutto ha un tempo che scorre e il suo scorrere spesso ci porta a pensare che stiamo perdendo il nostro tempo. Chi ha avuto modo di viverci per lungo tempo sa che non è così, l’africano vive la vita seguendo canoni diversi, maggiormente legati al territorio, si adatta al proprio ambiente e cerca di assimilarne le esigenze, non cerca di modellarlo, non prova nemmeno a cambiarlo. È in Africa, culla della vita, che è nato l’uomo, si è sviluppato, evoluto, cresciuto e lì tutto ha avuto origine. Un’Africa umile e grandiosa, simbolo di un’umanità smarrita che cerca il suo potente soffio vitale. Lo stesso che affascina da secoli inesauribili schiere di viaggiatori. 

Perchè dal basso?

Quando sei in basso giudichi quello che vedi da un altro punto di vista, magari limitato, pur sempre reale, a contatto con tutto quello che ti circonda. Ti porto un esempio: se guardo la Tour Eiffel dal piazzale, la vedo in tutta la sua maestosità, in quel momento lei è la protagonista della scena e io solo un puntino piccolo piccolo alla base, un osservatore attento farebbe fatica a individuarmi, a riconoscermi perchè la mia figura si confonderebbe nell’immagine della torre. Restando però in basso io vivo la realtà che mi circonda, annuso gli odori, ascolto le voci, vedo i colori, provo dolore e gioia insieme a quelli che mi circondano. Se io salgo su quella torre, il mio orizzonte si ampia, sono sempre un puntino ma all’ultima terrazza della torre non c’è spazio per migliaia di persone, sono pochi gli eletti che di volta in volta hanno accesso a essa, da quel punto privilegiato allora posso guardare la città che mi circonda, domino tutto ma quello che realmente potrebbe interessarmi lo vedo distante, come puntini in mezzo al verde, come puntini in mezzo al grigiore, come puntini su un bateau mouche che naviga nella Senna, un mondo a me distante del quale non posso sapere nulla, perchè troppo lontano. Dal basso invece sintetizza il modo come ho iniziato a scoprire l’Africa.

Cioè sei andato in Sud Africa?

No, l’Africa nera l’ho scoperta dalla Nigeria. In questo caso il titolo non ha un riferimento geografico, è semmai un percorso il mio, la scoperta di un continente, della sua gente, abitudini, delle usanze e costumi partendo dal gradino inferiore di una ipotetica scala di valori. Più in basso di così non era possibile, avrei dovuto assumere le loro sembianze. Questo non vuol dire che mi elevo in ogni caso a un gradino superiore, io uomo bianco ho cercato di essere come loro, ho cercato di immedesimarmi nel ruolo di uomo nero riuscendone a cogliere tutti gli aspetti del loro modo di vivere arrivando perfino ad una sorta di simbiosi fra la mia cultura e la loro. Io ne sono uscito rafforzato, tutta la mia conoscenza ha beneficiato di questo processo negli anni seguenti e i benefici li posso percepire ancora adesso.

Quindi il tuo era un viaggio al contrario, sei fuggito dalla realtà deve vivevi per entrare in un mondo totalmente sconosciuto e scoprire sulla tua pelle come vive l’uomo nero?

Non necessariamente, non sono partito con quell’intento, io in Nigeria sono andato per lavorare, non ho scelto l’Africa semmai, parafrasando, l’Africa ha scelto me.
Non è stato un percorso facile. Arrivare in Nigeria fu un tremendo impatto con una realtà che non mi aspettavo, tutto era molto, troppo diverso da quello che pensavo fosse possibile, la gente, i colori, gli odori colpivano i sensi e rendevano un’immagine ben diversa da quegli stereotipi che anni di scuole e università erano riusciti a insegnarmi. La prima reazione fu agghiacciante, il primo pensiero fu di scappare e lasciare ad altri quelle responsabilità che mi si chiedevano, anzi imponevano. Fu la perseveranza che sempre mi contradistingue e la consapevolezza che potevo farcela che mi tennero li, col tempo imparai a conoscere l’ambiente ove vivevo e integrarmi in un mondo così diverso. Ma solo dopo i primi mesi mi resi conto che il processo per la piena accettazione del vivere nel continente nero aveva avuto un esito positivo, che desideravo restare e potevo integrare il loro modo di vivere al mio.

Uhmm restare? Per restare ti sei sposato un’africana?

Sicuramente no, non era nelle mie intenzioni entrare in Africa dalla porta più facile. L’idea prevalente che si fanno gli italiani è che il matrimonio risolve tutto, anche le difficoltà ad ottenere un visto. Salvo poi scoprire che un matrimonio dovrebbe essere “per sempre” e quasi mai, in Africa, va a finire così. 
Perchè? Perche le tentazioni sono tante, se ti sei sposato con uno scopo ben preciso e non “per amore” vuol dire che sei anche africanizzato, quindi non più padrone di te stesso, devi rendere conto di una parte della tua vita alla tua dolce metà che sarà dolce solo i primi mesi di vita insieme. Dopo la convivenza ti sembrerà sempre più salata, non è lei a peggiorare, non solo, sei tu. Perché cerchi e vorresti continuare a fare quello che facevi prima. Perché sai che il tuo matrimonio non è per dividere una vita insieme ma solo un salvacondotto per restare in quella particolare nazione che fa gola ai tuoi interessi.... A questo punto della storia il matrimonio scoppia perché ti rendi conto che lei non è l’arrendevole donna che cercavi e lei capisce che tu non sei l’uomo innamorato che voleva portarla via da li. 
Tu vuoi restare, il matrimonio è solo una scusa. Lei voleva andarsene e a quel punto della storia si sente presa in giro, gabbata. Parliamoci chiaro, sono poche le donne africane che aspirano a restare in Africa, se si sposano l’uomo bianco, principe azzurro, verde o blu, è per avere un passaporto per un mondo che si dovrebbe aprire toccando appena la maniglia. Un mondo dove c’è tutto quello che desiderano o hanno sempre desiderato: dalla tv ai fast food, dai cinema al coperto alla piscina con l’acqua chiara, vestirsi come vuoi, un’auto scoperta con il vento che scompiglierebbe i capelli (finti)... Insomma le avete illuse e tagliate i loro sogni? 
Avrete vita matrimoniale molto breve in Africa. 
Appena capiscono le vostre intenzioni non dichiarate prima del grande passo vi salutano in un momento, piantandovi li con una montagna di conti da pagare ed una famiglia della sposa sull’uscio armata di machete e con intenzioni non proprio da buon samaritano.
L’Africa non è quello che il comune senso del pensare crede che sia, non è la terra da colonizzare. L’Africa è viva, pulsante, colorata, vanitosa, volenterosa, ambiziosa. Vuole crescere nonostante molte classi dirigenti africane - copiando molto da quelle europee -  credano che sia sufficente riempire il proprio conto in banca.

Bene, sani principi. Come ti sei organizzato? 

L’intento era di creare una base, non in Nigeria e nemmeno in uno dei paesi limitrofi dove vivere per un uomo bianco equivaleva ad andarsi a cercare i guai col lanternino. Avevo in mente un’idea che andava affinata, mi serviva inoltre una più vasta conoscenza della gente, delle autorità, come potevo muovermi, come potevo evitare i problemi e crescere. A quel tempo mi offrirono di lavorare in Kenya per una multinazionale impegnata nella costruzione di alcuni impianti di desalinizzazione acqua. Scoprii che non era esattamente quello che mi aspettavo. La multinazionale non aveva alcuna esperienza del Kenya, nessuna conoscenza dell’ambiente e nemmeno delle leggi, quelle scritte e quelle non scritte. Insomma un incubo. I lavori civili li avevano affidati ad un’impresa kenyota, le installazioni meccaniche ad un’impresa indiana riservandosi per se stessa la conduzione dei lavori, a me fu affidato il difficile incarico di project manager. Difficile perché alla fine mi ritrovai a dover litigare dalla mattina alla sera con i kenyoti in ritardo abissale, con gli indiani che litigavano con i kenyoti e con il cliente che non voleva pagare per via del ritardo abissale. Trovai la soluzione e la proposi alle parti. Il cliente accettò senza compromessi, gli indiani mugugnando, i kenyoti tagliarono la corda lasciandoci in braghe di tela e la multinazionale si defilò fiutando il fallimento. Libero da condizionamenti e con carta bianca del cliente che mi assunse a tempo pieno completai l’impianto nei tempi supplementari senza dover ricorrere ai rigori, pagammo tutti i subcontractors che ero riuscito a recuperare dopo la dipartita del partner civile e gli indiani che sorridevano anche quando prendevano legnate sui denti. Quell’esperienza mi fece capire che l’Africa non era da sottovalutare, che le difficoltà di un’azienda italiana vengono moltiplicate per cento non appena questa metteva piede nel continente nero, che non si possono gabbare le persone raccontando storielle o vendendo loro la cassa di vetri colorati, che gli affari sono affari ma bisogna condurli con capacità imprenditoriali, che l’africano si era evoluto e al posto dell’orecchino d’osso aveva l’auricolare del telefonino.
Lasciai il Kenya destinazione South Africa due settimane dopo la fine dei lavori, deciso ad iniziare la mia attività.

Diventare imprenditori in Sud Africa? Wow, un bel salto di qualità. Successo immediato suppongo?

Valutazione errata. Intanto dovevo guardarmi attorno per cercare la location più adatta allo scopo. Il South Africa ruota attorno a tre capitali ognuna con una ben distinta identità: 
Pretoria, sede del Governo, Città del Capo, dove si trova il Parlamento, e Bloemfontein, sede del potere giudiziario. Ai fini internazionali, tuttavia, è Pretoria a essere identificata come capitale in quanto sede della Presidenza, Johannesburg non è nella lista delle capitali ma, nel corso degli ultimi tre decenni è stata la città che più di tutte ha cambiato il volto di questo grande paese arcobaleno. A Johannesburg ci sono le sedi di molte banche, africane, europee, americane e nei tempi più recenti asiatiche. Ci sono le industrie manifatturiere, estrattive, quelle di trasformazione delle materie prime. L’oro dall’estrazione alla vendita passa tutto da qui, ma anche altri metalli preziosi. Moltissime ambasciate hanno sede qui o a Pretoria che comunque dista solo una decina di km, alberghi internazionali e catene di negozi sono comunque presenti e operano attraverso centri di servizi a Johannesburg.
Nonostante tutto è anche la città con il più alto crime rated in tutto il South Africa. Non molto distante da Jo’burg, come viene soprannominata, c’è Soweto il cui nome è un acronimo, significa infatti South West Township. Negli anni vicini alla fine dell’apartheid molti degli eventi che hanno accelerato la fine di un periodo buio della storia di questo grande Paese, si sono svolti qui. Come dimenticare quel 16 Giugno 1976 quando iniziarono violenti scontri tra gli studenti neri e la polizia segregazionista del National Party, partito nazionalista al governo del paese? Il motivo specifico della protesta studentesca di Soweto fu un decreto governativo che imponeva a tutte le scuole in cui erano segregati i neri, di utilizzare l'afrikaans come lingua paritetica all'inglese. Quest' ultimo episodio, preceduto da una lunga serie di imposizioni da parte degli afrikaner, fu percepito come direttamente associato alla logica generale dell'apartheid. L'inglese era la lingua più diffusa presso la popolazione nera ed era stata scelta come lingua ufficiale da molti bantustan al contrario dell'afrikaans, la lingua degli oppressori. Il Ministro per l'Istruzione Bantu, Punt Janson, incurante del volere della popolazione arrivo ad affermare « Non ho consultato gli africani sulla questione della lingua e non intendo farlo. Un africano potrebbe trovarsi di fronte a un "capo" che parla afrikaans o che parla inglese. È nel suo interesse conoscere entrambe le lingue. »
Queste ultime dichiarazioni suscitarono numerose proteste da parte del corpo docenti e degli studenti neri delle scuole dov'erano segregati. Il 30 aprile 1976, i bambini della "Orlando West Junior School" diedero inizio a uno sciopero, rifiutandosi di andare a scuola.
Gli studenti di Soweto intanto formarono un comitato d'azione, il "Soweto Students' Representative Council" per organizzare la protesta, indicendo una manifestazione di massa per il 16 giugno. Migliaia di studenti e docenti neri si riversarono nelle piazze e si diressero verso lo stadio di Orlando. Si decise per la linea pacifica, pianificando in modo accurato il tutto, in modo tale che fosse chiaro: nelle prime file del corteo erano esposti cartelli con scritte come "Non sparateci - non siamo armati". Il corteo incontrò la polizia, che aveva preparato delle vere e proprie barricate. Si optò per una deviazione del corteo su di un percorso alternativo: anziché andare allo stadio, giunsero presso la Orlando High School.
Qui, nuovamente trovarono la polizia ad attenderli che cercò subito di disperdere la folla con i gas lacrimogeni.
Dal corteo cominciarono a levarsi slogan di protesta ed i bambini esasperati dalla condizione di segregazione in cui si trovavano costretti a vivere sin dalla nascita e dal crescendo di angherie che erano costretti a subire, cominciarono a tirare pietre verso la polizia.
La polizia prontamente e senza alcuno scrupolo, aprì il fuoco uccidendo quattro bambini, fra cui il tredicenne Hector Pieterson di cui la fotografia del suo corpo martoriato divenne un simbolo della violenza della polizia Sud Africana.
Negli scontri che seguirono durante la giornata morirono altre 23 persone.
Dopo il massacro del 16 giugno, la tensione fra gli studenti neri di Soweto e la polizia continuò a crescere.
Il giorno successivo, le forze dell'ordine Sud Africane giunsero a Soweto armate di fucili automatici, inoltre furono dispiegate anche forze dell'esercito.
Soweto era pattugliata da elicotteri e automobili della polizia e diverse fonti riportarono di agenti in borghese che giravano in automobili civili e sparavano a vista sui dimostranti neri.
Le contestazioni durarono circa 10 giorni e si dovette arrivare alla morte di più di 500 manifestanti e il ferimento di oltre 1000, perchè il regime dell'apartheid crollasse.
La rivolta contribuì a consolidare il sentimento anti-afrikaner nelle masse nere e la posizione predominante dell'ANC come principale interprete di questo sentimento.
Molti dei cittadini bianchi Sud Africani presero parte in modo deciso a favore dei dimostranti. Alle manifestazioni di studenti neri si andarono ad aggiungere quelle degli studenti bianchi. Dal mondo studentesco, inoltre, la protesta si allargò a diversi settori produttivi con una catena di scioperi da parte degli operai di molte fabbriche. La rivoltà che si estese in tutto il Sud Africa pagò ed ebbe un ruolo fondamentale nella caduta del National Party e nella fine dell'apartheid, sancita definitivamente nel 1994.
Pagine buie, orrende, errori che non si dovevano commettere. L’arroganza di certi afrikaneer ricorda molto da vicino gli eventi che hanno caratterizzato la nostra storia, un’altra pagina triste, dal 1939 al 1944 quando alleati dei tedeschi entrammo in guerra contro il resto dell’Europa. 

Che tristezza, l’uomo non impara mai dai propri errori. Quindi non fu facile?

Non fu facile, e non fu nemmeno una bella esperienza, almeno nei primi anni. Fu così difficile che dopo un periodo euforico decisi di abbandonare i sogni di gloria e cercarmi un lavoro da dipendente. E non andò meglio, anzi peggio di prima. Il fatto era che ormai ero abituato all’idea di essere imprenditore, così cercavo sempre la soluzione migliore per risolvere i problemi man mano che si verificavano o venivano identificati, attirandomi le ire di chi con quei problemi aveva convissuto per anni e goduto dei privilegi derivanti dal denunciarli e risolverli e non più di uno all’anno. In sei mesi di lavoro presso un’impresa trovai almeno trenta anomalie e risolsi una decina di contratti che vivacchiavano sugli aiuti di chi invece doveva chiuderli. Quando trovai le gomme dell’auto bucate per la terza volta, decisi che non era il caso di insistere, a quel punto però il mio datore di lavoro pretese la stessa profusione di impegno e dedizione di prima, per un pò fui capace di mantenere il ritmo e guardarmi le spalle dai cattivi, quando raggiunsi il punto di saturazione mi dimisi con sommo dispiacere del direttore e tornai a riflettere sulle situazioni strane della mia vita. Per tornare a vivere veramente, eufemismo visto che io stavo vivendo, dovevo ritrovare la via, un percorso che fosse tutto mio da poter plasmare secondo le mie esigenze e desideri. Nel 1992 tornai in Italia per cercare idee e alternative da poter applicare in Africa.

Esperienza negativa da imprenditore, ancora negativa da dipendente, che alternativa speravi di trovare?

Nessuna esperienza, anche quelle peggiori, può essere considerata negativamente, tutte arricchiscono il bagaglio dell’individuo in quanto essere umano che pensa e comprende e sa giudicare con cognizione di causa le diverse situazioni e trarne giovamento. Da quelle esperienze avevo capito che avrei dovoto prima di tutto cercare dentro me stesso le necessarie motivazioni e quindi cercare di raggiungere i miei obbiettivi con tutta l’ostinazione e la caparbietà che sempre mi aveva caratterizzato fin dai tempi della scuola. Poi successe un fatto strano, nel 1993  una persona che conoscevo da una decina d’anni, mi informa che sta partendo per un’esperienza africana in un villaggio vacanze, il paese scelto è la Tanzania, qualche chilometro a sud di Dar Es Salaam. Mi chiede se sono disposto a partire con lui e, nel caso di informarlo per poter organizzare il viaggio. 

Non è quello che cercavo ma un’esperienza africana di quel tipo mi mancava e accettai. In realtà quello che giustificava la scelta non era direttamente connessa con quella filosofia anche spiccia dei villaggi turistici, argomento che mi era totalmente sconosciuto fino a allora, bensì il contatto con le popolazioni locali e l’eventuale interazione fra la nostra cultura e la loro, mi interessava cogliere le eventuali similitudini comportamentali e assimilare quanto più possibile di quegli aspetti per poter in seguito mettere in pratica quando imparato. Invece non m'immaginavo lontanamente che i contatti con l'esterno erano ridotti al minimo e la gente locale veniva prontamente tenuta lontana dalla struttura e dai turisti. Così, il momento del beach volley per me si trasformava in un angoscia, puntualmente la zona di gioco si animava di bimbi e ragazzi africani che pur di toccare e dare anche solo un calcio, correvano avanti e indietro a recuperare e riportarci il pallone per poter continuare la partita, il gioco è unione, e li invece era vissuto come separazione, c’erano ospiti che giunsero perfino a spintonare i bimbi per cacciarli dal terreno di gioco, il gioco è complicità e rispetto, spesso la fratellanza e la reciproca fiducia si fondono magicamente mentre ci si diverte, purtroppo ogni nuovo gioco era invece vissuto come un dramma e meditai numerose volte di andarmente così su due piedi lasciando come statue di sale l’amico e il gestore del villaggio. 

Inoltre proprio in quel periodo il villaggio stava finendo la costruzione di un ennesimo muro che avrebbe dato così la possibilità ai turisti di raggiungere la spiaggia tranquillamente, evitando nello stesso tempo qualsiasi contatto e disturbo da parte degli africani! Rabbrividivo, giorno dopo giorno, alla parola "ignoranza" che lo staff italiano facilmente usava. Ero deluso e mi sentivo soffocare, così nelle piccole pause giornaliere e alla notte, terminato lo spettacolo ed il nostro lavoro, sgattaiolavo di nascosto all'aria aperta bramoso ogni volta di aprire il mio cuore all'Africa e facendo la felicità della guardia africana ai cancelli del villaggio a cui davo qualche dollaro per ringraziarlo del suo silenzio! Uscita dopo uscita, aggiungevo nuove ed indimenticabili immagini ai miei occhi ed indelebili impronte alla mia vita. Quella che ora posso dire, mi ha donato l'Africa!

Amavo già l’Africa, il mio percorso era nato in Africa e volevo poterlo terminare, anche se mi rendevo conto che non avrei trovato lo stesso idilliaco ambiente in nessuna delle destinazioni future da tempo programmate. L’esperienza tanzaniana potevo giudicarla positivamente, avevo accumulato la necessaria conoscenza e credevo di poter essere in grado di organizzare viaggi africani a mia volta improntati a un diverso rapporto di coesione, partecipazione e complicità del baturi uomo bianco con la gente che avremmo potuto incontrare nel corso dei viaggi di esplorazione che mi ero prefissato. 

Avevo naturalmente ancora degli aspetti da identificare, il disegno andava piano piano affinato e completato con informazioni pratiche e organizzative ma sentivo già crescere in me quel desiderio di simbiosi con la gente africana come non l’avevo mai provato prima e che, in quel momento, era portato a farmi credere non l’avrei più trovato se non prendevo al volo quello che il caso o la fortuna mi stavano offrendo sul classico piatto d’argento.  Quei quattro mesi non hanno fatto altro che alimentare questo grande amore e rendere ormai sofferenti i mesi che devo passare lontana da quella Terra! Ogni volta che ritornavo, ritrovavo il mio cuore. In Africa tutto è accentuato, è sentito, è grande e assorbito profondamente, a partire dalle emozioni e dalla fame fino al suono della Terra e della Natura, dal bisogno d'amore all'amore per la vita e ancora all'inno alla vita che giornalmente l'Africa esprime con il sorriso dei bambini, con i maestosi baobab, con la musica e con le stelle! Per tutto questo e per tutto quello che è l'Africa vorrei non sentirne più la mancanza, vorrei dissetarmene all'infinito e sopratutto vorrei che un domani mio figlio potesse esser circondato da questa meravigliosa Terra per crescere con la stessa umiltà e sensibilità alla vita, con lo stesso fiero sorriso negli occhi e nell'anima con cui i miei fratelli africani ci guardano! La mia vita è cambiata dalla prima volta che ho messo piede su quella terra rossa anni addietro, ma è nell'ultimo ritorno che ho definitivamente maturato la convinzione che in realtà quello sarà il mio piccolo angolo di  paradiso dove vorrei stare, è lì che la mia nuova vita deve iniziare! 

Continua....